Il Mistero della Grisa - parte 3 - L'incontro


L'incontro con la Grisa
Come in un sottile gioco, la grisa appariva misera e gli altri la pensavano ricca. Intanto il gruzzolo cresceva ogni anno e lei non possedeva una spanna di luce nè un filo d'acqua. Era ferma al Settecento. Viveva in un farraginoso magazzino di cianfrusaglie da pochi soldi. Però, stando a letto, poteva catturare dai vetri la continua varietà del cielo, centellinando ogni ora della notte.Sarà stato che il nome di Grisa aveva un che di manzoniano e che io mi stavo affezionando a questo personaggio melanconico che lottava per sopravvivere, sarà stato che il suo caotico disordine mi dava l'idea del naufrago che si aggrappava a qualsiasi legno che galleggiasse, pur di giungere a riva, saranno state queste e altre cose: io nella Grisa vedevo la condizione umana, al limite del primitivo naturale o del disastro psicologico.La cercai ancora verso le sei del pomeriggio, in una giornata calda e luminosa. Superato il voltone dei Baretti, in punta di piedi, colsi un'immagine che pareva uscire da una pagina dei "Miserabili" di Victor Hugo. La Grisa stava rannicchiata su un pendio erboso, sotto il pino della casa ad archi, col viso per metà coperto da un fazzolettone colorato. Il sole picchiava forte sulla rocca e lei tendeva in avanti le gambe magre e scoperte, con le rotule gonfie e bruciacchiate. Con dita nervose, sgranellava un nero rosario e con suoni gutturali mormorava i misteri del Cri­sto. Non volli turbarla. Mi appoggiai alla casa del pino, quasi non fiatando. Per giorni avevo inseguito la sua vana figura e ora, per miracolo, la scoprivo sprofondata nell'erba smeraldina di fine maggio, mentre colloquiava col suo Dio.La Grisa capiva che il sole era il vero alleato e lei lo prendeva sulle gambe secche e chiazzate, recitando le sue devozioni all'aria aperta. Negli alti e bassi delle preghiere,fiutava a piene narici gli aromi della campagna che assediavano i bordi del cortile.Giunse da qualche cantina un gatto grigiastro a violare l'alone mistico del momento. La bestia mi scrutò di lontano e poi andò a cacciare il muso in una pignatta d'acqua piovana. Lei si permetteva di dissetare le bestiole della contrada. Il micio tentò di raggiungere il sito dove la Grisa s'era allungata, ma rivedendo me, rigido come un baccalà contro il muro, e temendo un agguato, fece marcia indietro. Iniziò a spruzzare il piede di una panca in marmo della casa di Ruchèn e riandò nuovamente alla ciotola, coll'aria del padrone bastonato. Si fece strada tra una catasta di cassette a cui s'appoggiava una lunga scure della Grisa e infilò i due balconi che sovrastavano il voltone d'entrata. Completò il giro d'ispezione spruzzando l'inferriata di un balcone e spiccò un salto sulla scala consunta e liscia dei Baretti che dall'esterno conduceva al solaio. I tonfi dei suoi salti si ripercossero tra le mura del cortile, invaso dall'ombra lunga dei tetti.La Grisa non seguì le peripezie del gatto. Volle godersi maggiormente il sole e tirò su il vestito di lana spessa. Passò ripetutamente la mano sinistra sulla gambe e frizionò la pelle calda. La preghiera stava terminando. Con uno scattò cacciò il rosario in una borsa di plastica e si sollevò da terra, raccogliendo straccetti sparsi. A gambe nude, e scalza tra l'erba, apparve in una traballante magrezza. Dondolando, scese per la stradina di Ruchèn e scomparve dal mio orizzonte. Rientrò di lì a poco con strani panni, freschi di bucato, e appoggiati sul braccio. Agguantò il giornale dell'Ancora di Acqui che aveva tenuto al fianco durante il rosario e lo cacciò nel vuoto di una cassetta, come fosse roba letta e destinata al fuoco. Per aria pizzicava l'odore della cena.Una decina di metri più in su, sotto il voltone, l'altra donna del cortile, similmente, stava trafficando con una cassetta. Alla spiccia, la cacciò sotto i tacchi; col destro menò un fendente così forte che fallì il segno. Perse l'e­quilibrio e sbandò col corpo di mezzo giro. Allungò le mani e si fermò contro il muro, traballando assai. Capii che quella era l'ora delle cassette!Intanto la Grisa scopriva un foglio giallo sepolto in un vecchio giornale. Venne attratta dal colore e dal titolo perchè si mise a leggerlo avidamente, senza perdere una virgola. Lo ritenne così prezioso che rincasò tenendolo tra le mani. Salì al piano superiore e chiuse le finestre, tornando poi a raccattare un piatto a fioroni, steso al sole come un panno da bucato. Ne annusò la fragranza, quasi volesse cacciar via l'odore di muffa che appestava i muri dove non cantava il camino.Fu in quell'istante che io uscii dalla mia silenziosa garitta. Ruppi il ghiaccio, chiedendole a bruciapelo dov'era la casa di Baretti. La Grisa mi guardò con aria smarrita, ma subitamente s'infervorò della faccenda.Mi segnò con ambe le mani la casa dagli archi sotto il tetto. Non volle indicarmi la vera casa decrepita di Baretti che stava a lato della sua. Io non la corressi e lei continuò: - Rivalta festeggia i mille anni del Borgo! I giovani sono venuti in gruppi nel cortile, coi costumi d'una volta. Hanno messo tavole e vino per ricordare Baretti. La banda musicale suonava allegra che era un piacere per me. E qualcuno ballava. Poi si mise a piovere grosso. Veniva giù che Dio la mandava. Presero a scappare, persino dalla rocca. I musicanti coi tromboni cercarono riparo sotto il vol­tone. Io sarò povera, ma stavo all'asciutto dietro la fine­stra di sopra e li guardavo che fuggivano eguali a topi.Negli occhi della Grisa balenò un lampo di compiacimento, misto al dispiacere vissuto dal paese scornato. Volli poi sapere dei rapporti coi vicini. Lei si mise a contare con voce sofferta: - Le case a fianco sono più morte che vive. Quella di fronte con i pini è di forestieri che arrivano da Genova ogni sabato. Sono una coppia. La moglie è una santa donna che mi vuole un gran bene! Il marito è peggio del diavolo. Non mi può soffrire. Lui viene dalla cit­tà, si è rifatto la casa, ma intorno le stanze non hanno un'a­nima viva! Bene o male, ci sono solo io nel cortile. I Grisa sono qui da tre generazioni, io ci vivo e ci morrò! Il suo tono s'era fatto lacrimevole e bisognoso d'affet­to. Lei teneva duro dall'inizio del secolo. Non sarebbe ba­stato il primo venuto per schiacciare la sua volontà di so­pravvivenza.- Mia madre, - le chiesi - lo sa che è morta cinque anni fa?- Altro che! - soggiunse lei - Ero al funerale e faceva un gran freddo. C'era anche la neve sulle colline d'intorno. La musica in cima al corteo faceva piangere! Io cammi­navo a lato del povero Cunì. All'improvviso, si sentì male e lo portarono a casa, in tutta fretta. Nel giro di due ore, raggiunse tua madre Rina!Mi accorgevo che aveva in testa tutta la vita di Rivalta. Conosceva morte e miracoli di ognuno. Allora io che l'a­vevo sentita tossire una sera quando entrai furtivamente dentro la "Court di Baret", le chiesi cosa sentisse in gola. Lei si confidò: - Ho una bella bronchite che mi dura da mesi! Viene la suora a curarmi e mi fa bere dello sciroppo. Ma io sono convinta che solo il latte caldo me la farà passare.Volli sapere come stava a soldi e se bastavano. Lei mi rispose: - Lo Stato mi passa la pensione minima e mi basta! Se spendessi come gli altri, pagherei pure l'acqua da bere. Io vado alla fontanella dietro la Chiesa o scendo alle Lavanche. Laggiù c'è un'acqua più leggera dell'aria! - Ma è lontanto - commentai io - È una tirata che fa mancare il respiro.Lei rimediò, aggiungendo: - Fuori casa ho sempre ciotole e secchielli per pigliare la pioggia. In quanto a fatica, caro mio, feci la giornaliera per oltre cinquant'anni, così mio fratello. Coi soldi messi insieme, quando la nostra casa in fondo a via Baretti scivolò nel burrone, comprammo questa. Che sia benedetta per tutto il lavoro fatto!La voce della Grisa usciva cavernosa e le parole le si incagliavano in gola. La storia della pensione filava liscia come l'olio, nè dal vestito, rimboccato sulle maniche, sporche e sciupate, trapelava l'ombra di una qualsiasi ricchezza da esibire.La Grisa stava bonariamente seduta su una bassa pan­chetta e da un tascone del largo vestito, certamente di un altro, estrasse un grosso pettine, a denti larghi. Iniziò a tirare i capelli all'indietro, con malcelati guizzi d'orgoglio femminile, non ancora scomparso. Da quel momento della toilette, ogni tanto ripeteva con sussiego: - Devo andare, mi aspettano!Sembrava che io fossi d'impiccio per il suo impegno. Ma lei continuava a passare con forza il pettine fino al punto che apparvero tre bernoccoli, simili a bianche cipolle, a zig, zag, sulla parte destra della testa."Pazienza uno!" pensai "Qui c'è un'intera famigliola".La Grisa tirò al massimo i capelli e li fermò con uno straccetto nero e lucido. Il suo viso ringiovanito pareva stare nel palmo della mia mano. Ebbi un momento di tenerezza; estrassi del denaro e glielo porsi. Lei rifiutò garbatamente e con dignità. Mi ripetè che la pensione era suffi­ciente per i suoi bisogni. Io insistei e lei a malincuore lo accettò. Infilò la banconota sotto una cassetta e diede l'ultimo strattone alla lunga chioma che se l'avesse sciolta sa­rebbe scivolata a fondo schiena, come le donne d'una volta.Allora con voce sicura e chiara mi disse che avrebbe pre­gato tutte le sere per l'anima di mia madre.- Prima di addormentarmi, prego per i parenti. D'ora in poi, metterò anche il nome di tua madre Rina! Volli sapere perchè la chiamavano Grisa.- Io sono la figlia della Grisa. Così accadeva anche per mia nonna! Ma ora, dove finirà questo nome, se non c'è più nessuno?Restammo in silenzio mentre per l'aria vagava il timore del futuro. Lei era l'ultima Grisa del borgo. Senza saperlo, aveva scelto di vivere come Diogene che nell'antica Atene predicava il ritorno alla natura, disdegnando tutte le comodità. Fuori di casa, invece lei conservava l'aria battagliera di Robinson Crusoè che, dopo il naufragio nell'isola, iniziò a raccogliere ogni cosa utile o ritenuta tale, con l'aiuto del selvaggio Venerdì.I giorni che restavano alla Grisa parevano combaciare sempre più con le voci che lei levava nel chiuso delle stanze. Quando si spegneva il sole, il mondo dei fantasmi tornava a pulsare nel suo cuore di donna pia e coraggiosa.I sentimenti e gli affetti salivano in gola o scendevano dalla testa allo schermo della memoria. Allora lei non era più sola nella notte mentre il campanile batteva le ore sui vetri spogli dei Grisa, alla soglia dell'eternità.

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