Dialogando con mia madre









Madri e figli sono incollati
come la luce e l’ombra.
E’ tutto ciò che rimane
del progetto di vita terrestre



Oggi sette marzo è il giorno del Tuo Requiem estremo.
Facciamo cronaca, mamma. Cronaca insieme. Sei sulla bocca e nel cuore di tutti gli amici. E sono tanti.

Splendida mamma, fosti la compagna delle mie lotte, delle speranze giovanili, della mia esistenza d'artista errabondo. Andavi fiera di tuo figlio. Non ci voleva tale fine violenta e spietata. Da un pò di tempo avevi cominciato a morire. Eri stanca. Il tuo cuore generoso si stava spegnendo. La quercia d'una volta s'incrinava. Desideravi andar via, prendere una vacanza. Fossimo stati più previdenti.

La vita prima o poi ci tradisce. E non ha che corone di spine da porgere alle tempie. Nei tuoi lunghi silenzi domestici attendevi sempre una mano amica. Anch'io tante volte avrei potuto restare, invece partivo. Avverto in me un senso di angoscia per le tue solitudini, per le tue notti bianche.

E dire che mi sembravi immortale! M'ero fatta di te un'im­magine che gli eventi non avrebbero toccato. Ora m'invade la paura di non aver fatto tutto per salvarti. Mamma Rina, non volevi evadere dal mondo del lavoro, divenendo così la più anziana aquila di diamante del commercio dell'intera provincia. Per oltre sessant'anni fosti al servizio della gente, nel tuo negozietto di paese.

Amavi tuo figlio d'un amore sconfinato. All'antica, con poche carezze e tanti sacrifìci. Fummo sulla stessa barca, dall'inizio alla fine. Tenevi il timone della casa e era cosa. giusta.

D'improvviso sei discesa nell'inferno del dolore. Laggiù nel­l'ospedale ho vinto l'innato pudore verso il tuo corpo glo­rioso. Da sempre custodivo venerazione e tremore. Così mi sono calato nei misteri della vita e della morte. Ho sentito la radice materna vibrare all'unisono nel mio sangue di figlio. Ogni violenza patita dal tuo corpo di madre diveniva parte di me, diveniva la tua e la mia eredità.
Acqui Terme, ore 11 del 7 marzo 1986.
Per stare insieme
ancora un poco

Sembra un gioco assurdo
scrivere
usare intelligenza
e parole
per una donna semplice
com'era mia madre.
Eppure
lacrime e immagini
mi servono
per stare insieme
ancora un poco.



Insisti a sperare
anima mia


Mi sono detto:
« Insisti a sperare, anima mia!
Ogni ora di vita
è sottratta
all'eternità del nulla ».
Intanto il mio corpo.
si sgretolava
nel corpo di mia madre.



Ero tornato il tuo bambino

Ero vicino al letto
e si faceva sera.
Mi vedesti stanco
e sussurrasti: « Giovanni,
metti la testa sul cuscino
accanto a me. Riposa! ».
Ero tornato il tuo bambino.


Avessi potuto darti ali…

Soffrivi tanto
e mi chiedesti
di prenderti
in braccio.
Ti ho stretta
lungamente
come non facevo
da anni.
Avessi potuto
darti ali...



Che tu sia benedetta
tra le donne


Dicesti l'ultima Ave Maria
con don Guido:
che tu sia benedetta
tra le donne,
madre mia.
Hai lavorato e amato
tutta una vita.



Lottavi con vigore
perché non finissi solo.


Lottavi con vigore
perché non finissi solo.
Eri docile alle cure
eppure pativi l'inferno
dalle viscere al capo.
Ti sentivo fuori e dentro di me
albero e gemma, radice e frutto.
Eri allegra i primi giorni
chiedevi le ciabatte.
Alzandoti, avresti risolto
tutto in maniera sbrigativa.
Poi la febbre mai doma
in furiosi saliscendi
t'incendiò il sangue
affaticato dagli anni.
Ci fosse stata una pergola
a farti ombra
con grappoli d'uva bianca
come alla « Ciliegia » di Strevi,
ci fosse stato papà
a darti baci e carezze.
C'ero io negletto e meschino
che ogni tanto appoggiavo
la guancia su un lembo di lenzuolo
per dividere con te
l'ultimo desco di dolore.


Ora sei andata avanti tu

Finirà tutto
lo sappiamo da tanto.
Ora sei andata avanti tu
com'era nel tuo stile
a battere il sentiero
perché sia sgombro
di erbe selvatiche
né gravino meandri di buio.



Neve assopita
sui colli acquesi


Neve assopita
sui colli acquesi
antica
come il dolore
del mondo
vorrei nascondere
sotto
le parole più dolci
perché a primavera
germoglino
per il cuore buono
di mia madre.



“quante cose vedo prima di morire”

Talvolta si andava in macchina
e tu esclamavi « Quante cose
vedo prima di morire! ».
Erano le tue uniche vacanze
dopo una vita di lavoro.
T'era venuta improvvisa
la smania di guardare il mondo.
O di salutarlo, prima dell'addio.
Te ne bastava un pezzetto
per farti rivivere.



Danzeremo mamma
nella luce sfavillante


Danzeremo mamma
nella luce sfavillante
del sole
quando sulle colline
di Rivalta
la terra respira
l'azzurro del cielo.
Come i tuoi occhi!



Morranno i tuoi occhi
di cielo

Morranno i tuoi occhi
di cielo
le tue mani forti
il tuo viso di regina
morrà la tua voce.
Era ieri che mi chiamavi
« Giovanni » e io ragazzo
vivace tornavo a casa
sporco di terra
felice del tuo richiamo.
Ora andrai vicino al papà
a dialogare del figlio.
Gli ricorderai che sino
all'ultimo giorno
usasti il seggiolino
che aveva impagliato.
Gli dirai che mai
smettesti di volergli bene.



Ho tentato di strapparti
a questo viaggio senza ritorno


Siamo corsi all'alba
del cinque marzo.
Aveva cessato di battere
il tuo cuore generoso
che ha amato
la povera gente.
Non rinunciasti mai
a sentirti creatura umile.
Onoravi così il tuo passato.
Corpo di mamma
percosso da tanti mali
trafitto da aghi a non finire
sino all'estremo ho tentato
di strapparti a questo
lungo viaggio senza ritorno.



Sembri una bambina addormentata
Ai piedi di un ciliegio fiorito


Nei giorni
in cui te ne stavi andando
cadeva tanta neve.
Io mi dicevo che finiva
il mondo
e che tutto congiurava
contro di te.
Ora la neve ha fatto nido
nei tuoi capelli.
E tu dormi in un silenzio
di rose rosse
tra quattro lampade
sperdute in una sala fredda.

Accarezzo la tua fronte
senza rughe.
Sembri una bambina
addormentata ai piedi
d'un ciliegio fiorito.
Ad aprile tra i filari
delle vigne
peschi e mandorli
smuoveranno la primavera.
E tu madre mia
sarai nei primi tepori
dell'aria
come quando sentivi
la terra amica
e il sole darti coraggio.



Le pie donne cantavano
che un giorno risorgerai


Fosti ubbidiente alla fiamma.
Ti chiudevano per sempre
ai nostri occhi.
Ti portavano a spalla
quattro uomini in divisa.
Poi la Banda Musicale
ti dava il saluto
sul sagrato della Chiesa
come sarebbe piaciuto
a nonno Sandrin.

Le pie donne cantavano
che un giorno risorgerai
e io ti vedevo alta
e forte che mi tenevi
per mano sulla collina
di Strevi
dove conoscesti papà.



A giorni nei fossi
Spunteranno viole e primule

A giorni
nei fossi spunteranno
viole e primule.
Talvolta scendevo
da Orsara
e te ne portavo
un mazzetto.

Eri radiosa
negli occhi chiari
poi posavi i fiori
in un bicchiere
sotto il ritratto di papà.



Potesse il legno tuo
farsi barca che non affonda

Madre mia
non c'è nulla
che ti eguagli
nulla che gridi
nel sangue
come la tua voce.
Eppure piango
la tua forzata
assenza.

T'hanno murata
come vuole usanza.
Potesse il legno tuo
farsi barca
che non affonda
e salpare verso
il mare aperto
ti saprei in balìa
dell'infinito
e ne trarrei
una parvenza di sogno.



Consumavi con amore
il tuo addio


Anche sul letto di morte
mandavi baci a tutti.
Eri rimasta
eguale a te stessa
povera e buona
sino al confine
delle prime ombre.
Consumavi con amore
il tuo addio.

Potessimo fermare
questo tempo
mai sazio
dei nostri affanni
potessimo alzare
un'immensa bandiera
bianca
per muovere a pietà
le forze oscure
che fanno sterminio
dei nostri giorni.
Da sempre viviamo
con la sola certezza
di questa dipartita
terrestre.



Tornerai sul mio cammino
ogni volta che vorrai


Tornerai
sul mio cammino
ogni volta che vorrai
sino allo spegnimento
di questo fragile
involucro.

Torneremo
sulla stessa barca
dove tutto si fa memoria
di lutti e trapassi
posseduti da quel nulla
che governerà
galassie e pianeti.

Fummo strumento
e mistero d'una effimera
sopravvivenza
godemmo di guardare
da vivi
le nostre ombre graziose
protese sulla terra.
E si continuò a gettare
àncore nello stagno
illusi d'una sorgente eterna.



Ora possiedi il regno dei cieli

Perdonami
se continuo a piangere.
Mi dicono che tu soffri
vedendomi così.
Perdonami
se non t'ho dato
qualche giorno di felicità
in giro per il mondo.
Non sentirò più
il tuo respiro
né scorgerò i tuoi piedi
stanchi d'aver tanto
camminato nel tuo negozietto
di paese.

Eri rimasta povera
e ora possiedi
il regno dei cieli.
Sei sul dorso delle nuvole
a celebrare
il nostro amore invincibile!



Perché vita ti ostini…

Perché vita ti ostini
a generare te stessa
e poi ci ricacci
senza scampo
nel labirinto del dolore?



Fosse tutto un sogno

Fosse tutto un sogno
fossimo mai esistiti
né mai nati
ora saremmo solo
briciole di vento
sulle colline
bianche di neve.



Poco fa t’ho telefonato

Poco fa
t'ho telefonato
e non m'hai risposto.
Zia Ester ha detto
che eri di sopra
a fare i lavori di casa.
E' una bugia, mamma,
che tu saresti pronta
a contare.



Avrebbe pace forse
la malinconia notturna…


Potessi abitare su un'isola
sperduta nell'oceano
misurerei i grandi spazi
da pié fermo sull'infinito,
potessi innalzare al cielo
musiche e incensi
muterei l'angoscia
in sovrumana saggezza,
potessi sotto tigli estivi
sognare nuvole d'api
che fecondano la vita
invocherei divinità leggere
per risalire il fiume del tempo,
potessi anima mia
allargare le braccia
stringerei rocce e ginestre
nella ferocia struggente
della sopravvivenza
o nella sublime finzione
dell'unità planetaria...
Avrebbe pace forse la malinconia
delle ore notturne
quando le farfalle sognano
sentieri di luce
e si dibattono in tele di ragno.



Come vorrei che queste lacrime
scaldassero le vostre ceneri…


Sei accanto al papà
e vai discorrendo.
Certamente parlerete
di me
e non vi darete pace.

Oh, come vorrei
che queste lacrime
scaldassero
le ceneri paterne
e scivolassero
sulle tue belle mani
prigioniere del vuoto.



Solo noi portiamo in giro
la malinconia dei viventi


Sono venuto a trovarti
mamma.
Stai in alto e taci.
Ancora le corone
a ridosso del muro
e qualche vaso sparso
nella tua stretta dimora.
Sulla piccola ghiaia
trasale lo stropiccìo
dei nostri passi.

La zia Ester corre avanti
e indietro come una trottolina.
Avverte il presagio
del futuro
e lo sussurra con dolcezza.
Ci scorge già in tua compagnia
ordinati e sereni
eguali a piccoli corsi d'acqua
che tornano all'antica sorgente.

In silenzio mi ripeto
che forse in India le ceneri
sparse nel fiume sacro
accomunano senza steccati
di tempo e di rango.

Qui ognuno piange il lutto di casa
il suo sangue versato.
Scorro i nomi dei defunti
e non par vero che freddi marmi
rechino all'occhiello
migliaia di visi
visti ieri o ieri l'altro.

E questo paese si dilata
scoppia di salute.
In rade oasi di terra
bei cipressi hanno ceduto
al peso della neve
e giacciono tristi sul fianco
con vaghi passeri
nascosti tra le bacche.

Solo noi portiamo in giro
l'angoscia dei viventi.



C’è sempre fretta
di correre


C'è sempre fretta
di correre
di volare via.
E dimentichiamo
di restare accanto
alle vecchie mamme
di dar loro
la nostra mano.



Eppure dura l’illusione
che s’allontani la nostra sconfitta…


Maman
ti vorrei vicino
per accarezzarti i capelli bianchi
così furono i nostri ultimi
momenti di colloquio.
Tu ascoltavi in silenzio:
l'eternità covava in seno
come serpe del nulla.
Eravamo povere creature
sulla riva d'un pianeta dannato
carico d'ombre e pianti.
Il tempo massacra
ogni evento corporeo
e dissacra memorie e speranze.
Ci vuole forza immane
a non piegare la testa
e dire basta.
Eppure dura l'illusione
che qualcosa s'inceppi
o s'allontani
la nostra sconfitta.
Ordine apparente e musica
di parole ci giocano
complice il sole
come se la ruota che rovina
sulle siepi non travolgesse
le restanti tenerezze
della vita.



Giovinetto salivo
alla fonte della Marenca

Giovinetto salivo alla fonte
della Marenca.
Mi chinavo a bere
l'acqua pura d'una volta
e salutavo le vigne d'intorno
che ora quali anime pie
montano di sentinella
all'altra vigna
dove più nessuna mano
si tende a cogliere
grappoli d'uva.



Sono più povero di una siepe
di biancospino colpita dalla falce


Sono più povero del muschio
che invano anela a farsi presepe
sono più povero d'un bimbo
morto prima di nascere
sono più povero d'un emigrante
che annega in un fiume di ricordi
sono più povero d'un passero
che sogna primavera su un fienile
e fuori infuria la bufera
sono più povero d'una siepe
di biancospino colpita a morte
dalla falce del contadino
sono più povero di chi giura speranza
e nei campi scopre roghi di girasoli
sono più povero d'una voce
che grida nel deserto
e s'abbatte su un angelo ferito
dal vortice delle galassie
sono più povero del più povero
tramonto che nella nebbia
ha perso le ali di fuoco...

ASSURDO VINCE SULLA NORMA O GENERA ORGOGLIO E TRISTEZZA?...


Universo dirimpettaio ha o non ha regole?
Ha fame solo di se stesso?...
Se si evolve scrive su libro segreto
che vita non si ferma mai! Parrebbe....

Ma se giace in punitivo buco nero
si attenta a sua immensità!... E noi siamo
qualcosa che verrà rimpianta? Qualsiasi
corsa vola verso l'assoluto?... Ogni cosa
tintinna e poi va a ramengo? Si spezza
una storia e si spegne clavicenbalo come
se maga giungesse a rovinar ogni molecola...

Sono miliardi le molecole d'attorno,
né urge etica cosmica. Gran pasticcio,
anima mia, essere qui per caso e pure
vegliando sul sonno delle cose... Forse
valiamo solo quel pugno di mosche inviate

dal Sommo Giove, come vuole leggenda
del Parnaso! E che bramano divorar
nostro involucro mortale! Verrà punito
come perenne diatriba tra l'essere e
il divenire? E noi vorremmo durare,
durare all'infinito!... Quasi fossimo un guscio
a fior di pelle di questo universo!...

4 novembre 2007

BEATI GLI ULTIMI PERCHE' SARANNO I PRIMI

BEATI GLI ULTIMI PERCHÉ SARANNO I PRIMI!
“Dal Vangelo secondo Matteo”
Vale forse la gloria
per dire "si" all'eterno?
Quando costui è
lo stesso universo!
Come gridò Giordano
Bruno quando bruciava
a Campo de' Fiori sul balcone
del Seicento. Per volontà d'un
papa che si diceva
microfono di Dio. Povero
Giordano! Manco la cenere ci
resta del tuo calvario
apostolico e romano! Povero
Giordano! Abbi nostra
voce di panteisti dell'universo.
In cui dormi in mille
forme in mille vite o in nessuna
che ti faccia ingordo!
Sei anche tu il tutto!...
Jean Servato
7 novembre 2007

VITA, VITA MIA! E DI TANTI ALTRI!

“Sommessa preghiera d'un mortale”

A occhi socchiusi eppure
dritti in infinito mentale,
mi chiedo se durerà ancora
codesto valzer viennese
a giro di trottola vivace!
Vorrei «ensemble»
joie et merveille entre
choses natives qui gardent
lointain! Je desire
trop?... Je ne rève pas
pitiè nì me voucher le
long d'une éternitè du neant!

Naturalmente innanzitempo!
Eguale a un rottame smarrito
da chicchessia. Vita, vita mia!
Tuo Jean nel dì ottavo
e novembrino d'un 2007!
Sto sognando a occhi socchiusi?
lasciami sognare, vita mia!

On m'a dit qu'il y a une vie éternelle!
Et je demande «où est-elle?»
On m'a repondù: «Elle est au-de-là
des cieux. Elle est au-de-là de l'univers!»
Je me dis qu'elle est trop lointaine
pour un qui meurt et perds
ses ailes et ses bras!

MULTIPLA ELEGIA PER ENZO BIAGI

“CI SIA DOMANI FERVORE DI TENEBRE”

Ieri scialle cristallino
di Gesù ti volle pioniere
degli umili e degli eguali
in sorda contumacia
da secoli a non finire!
Eppure, caro Enzo,
hai sorriso alla vita
prima di andartene!

Sulla barra del nulla
o di quel Regno di Dio
che in te albergava.
Nella tua minuscola
chiesa a misura d'uomo
patetico Cardinal Tonni
ti raccontò quasi lui fosse
fratello maggiore.

Fosti ardente partigiano
di Giustizia e Libertà!
Vicinissimo a Norberto Bobbio
e a Giuliano Pischell
segretario di Matteotti
quando fu massacrato
da segugi di Mussolini.

Voce tua senza retorica resta
incollata alle pareti del tempo.
Mosaico di gesti umani
mai bizantini. Da plurime
stagioni più non si consuma
quel tuo parlare.

Valse assai esser nato
in campagna tosco-emiliana:
laggiù gli alberi si tendono
qual respiro di terra! E
porgono eterna fanciullezza.
Torna a sussurrar che vivere
è morire ogni giorno. E che
amare è unico fragore interiore.

Caro Enzo Biagi! Quando
si invecchia sulla sponda
d'un fiume che scorre pure
nel cuore, par di giungere
mai al capolinea. Si brama
star a fianco dei figli o di
povera gente come si confà
a narrator cortese.

Da creature, sparse in ogni
lido, hai tratto storia del
mondo: tenendo il capo su
gloria altrui o su smarrimento.
Fosti cavaliere di fratellanza.

Mio Enzo, eri pianura assolata,
e non solo canto di cicala sul
mandorlo di casa! Tua voce
contadina sposò la luce per
parlare agli uomini. Fu religione
ad angolo giro. Stasera vorrei
gran plenilunio su terra che ti
calca! Son come te,
ultraottantenne, caro Enzo!...

Jean Servato
nel giorno quando tornavi al paese natale.
Giovedì 8 novembre 2007

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Film anni 60 con Jean attore: "Una storia di Ladri" Regia Mino Crocé


Jean Servato "Educare alla Libertà e all'Arte"

Jean Servato

Miei Colombi di Guardia al Cielo

Miei Colombi di Guardia al Cielo
Raccolta di poesie inedite