TAVOLI CINESI


Un anno muore tra le mura d'un Palazzo Reale

AVANT PROPOS!
Siam tanti, forse troppi:
in pochissimo spazio.
Potremmo sfilarci catenella
e portafoglio. Invece mungiamo
sorrisi cinesi su diacce
sponde del Po. Siam dannati
a divorar l’anima di Mao
Tzè Thung, mentre il tempo
scalpita a piedi scalzi?
Non balena bavaglio d’alcun
re: forse divorato sul Golfo
Indiano da coccodrillo
di ringhiera! Possiam gridar
“Viva il re!” ora che tace?

RUMOR SOVRANO
Illo urla al microfono
e non dà tregua. Un povero
Cristo si guadagna la pagnotta.
E ci strazia d’un immenso
dodecafonico, simile
a brodo di seppie,
care al levantino Montale.
L’esecrabile illo ci priva
d’un misero silenzio
ove nasconderci per sognare...

VOCI TRADITE DALL’AFFANNO
di durare ci lasciano indifesi
a far squallido “introìbo”
a cataratta d’infinito.
Che ci vuol caporali di giornata!

GRAZIE MIRACOLOSA CINA!
Ci stai sfamando come dannati
della Cajenna. Mangeremmo
lembi di nuvole pur di gridare
a mezzanotte
che siam più vecchi di Noè!

SE A SAN SILVESTRO
è lecito sognare, torneremo
fra cent’anni a pianger
sul grembo di ilari
cinesine per dir “Oh! Se la vita
fosse cosa seria!...”

SE IN QUESTO RUMORE
udissi la voce di Gesù
quando sussurra: “Passi da me
l’amaro calice!” riandrei
al peccato originale,
incalzato da ire di cherubini
di servizio? O quel tizio,
appeso al microfono, diverrebbe
monaco trappista o tibetano
che invita a indossar galoscie
per traversar palude di ranocchie?
E rivedrei farfalle sul naso
di Bergerac mentre grida
“Cos’è un bacio se manca
la Dama di Cyrano?” In verità, quel
dì nel salotto di Rostand, accanto
a me indugiava solare indocinese!...

BEN GIUNGA ARCANA LIQUIRIZIA
di Confucio quand’andava in ogni
chiesa a porger candele per
codesto nulla del malaffare!
Che vola in groppa al mondo
e mai s’acquieta. Se almeno
dicesse di goder d’un melograno
smarrito in un solaio di Tutankamen!
Diverremmo cittadini del mondo
gridando forte “Giulianova
sull’Adriatico!” Quasi fosse
donna da spargere amore
su chiome argentate?...

IL CIELO DI CONFUCIO
avea gran dimestichezza
con l’attimo fuggente.
E’ vero: non dava garanzia
di sorta, solo testarda
volontà di rappresentare
codesto mondo, in carne
e ossa da riciclare ogni dì,
ogni dinastia, con saggezza!

RITRATTO D’UN TESTONE CALVO!
Aveva un isolotto in testa,
vispo e tondo e teneva dita
gonfie per usura di cibarie!
Io m’illudevo di star sul Fiume
Rosso a cercar lumache parigine.
Poi sussurrai: “Mio bel testone,
rasato come un biliardo, forse
giochi a mosca cieca tra mongoli
e cinesi che si mangian le ossa
da mezzodì a mezzanotte! Eppur
ti scorgo nei panni d’un Lenny
di “Uomini e topi” di Steinbek.
Smaniavi per dar carezze ai conigli.
Appena li tastavi, restavan secchi!
Non vorrei che menassi tue dita
sul collo d’un 2005, appena schiuso
in Bottega dell’infinito! Se accadesse,
saremmo in mano a un Moloch di
periferia, non a un Don Chisciotte
di frontiera! Meglio sarebbe
si pagasse una tantum a un dio
fattosi carne per divorar restanti
gamberoni alla brace?
Ulisse assente, per fortuna!

Jean Servato
quandoil 31 dicembre 2004
s’annegava tra le stanze
d’un affollato Palazzo Reale

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